Quando un capo di abbigliamento è Made in Italy?
Il mondo è sempre più globalizzato.
La società è sempre più fluida.
Le persone sono sempre più interconnesse e gli scambi più frequenti.
Nell’attuale situazione di mercato della fashion industry, ora più che mai, giocano un ruolo fondamentale le scelte strategiche delle imprese.
Da queste dipende anche la reputation che ciascun brand si costruisce agli occhi dei clienti e, in generale, della platea a cui si rivolge che, grazie anche ai social network, è oggi vastissima.
Questa è solo una delle ragioni per cui è importante prestare attenzione non solo alla comunicazione e alle iniziative di marketing ma anche alle decisioni operative di business – tra cui quelle relative alla scelta delle materie prime e del luogo di produzione dei capi – che influiscono, seppur in modo indiretto, sulla reputazione del marchio. La comunicazione, infatti, sarà tanto più efficace quanto più coerente all’effettiva attività e alle scelte strategiche dell’azienda.
Ma veniamo all’Italia.
L’Italia è da sempre ritenuta la culla della moda per aver dato i natali a molti stimati stilisti e per la maestria manifatturiera. Il prodotto tessile italiano è da sempre sinonimo di prestigio, ricerca e cura del dettaglio, in una parola “qualità”.
É risaputo che l’Italia sia un Paese trasformatore di materie prime e che produca prodotti artigianali di alta qualità, in cui si rispecchiano la cultura e lo stile italiano, capaci di conquistare il mercato straniero, anche grazie ad un apporto innovativo nella produzione dei prodotti.
Da qui nasce, quindi, l’esigenza di comprendere quando è possibile apporre sui capi la dicitura Made in Italy e mettere a frutto così gli investimenti e la ricerca nello sviluppo di prodotti italiani che, proprio grazie a questa origine, vedono rafforzata la propria leadership nel mercato.
Non vi sono dubbi sul fatto che un capo prodotto interamente in Italia, partendo da filati italiani, sia Made in Italy e, anzi, esiste addirittura il marchio 100% Made in Italy.
Ma quando, invece, un capo d’abbigliamento è stato realizzato in parte in Italia e in parte all’estero?
Occorre ricorrere al criterio dell’origine doganale non preferenziale che prevede la seguente regola generale:
un prodotto è Made in Italy se ha subito sul territorio italiano l’ultima trasformazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata, che abbia portato alla creazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.
Questa regola, però, non vale solo per il settore tessile e manufatturiero ma per tutte le merci. Ovviamente, stabilire cosa possa rappresentare l’ultima trasformazione sostanziale può essere, a seconda dei casi, più o meno arduo.
E allora, il legislatore comunitario viene incontro agli operatori economici e dà alcune preziose indicazioni.
In particolare, fornisce un elenco di operazioni di lavorazione e trasformazione che, a seconda del tipo di capo di abbigliamento, rendono possibile l’apposizione del Made in Italy.
Così, ad esempio, avremo:
- la realizzazione in Italia della confezione completa (ossia lo svolgimento di tutte le operazioni successive al taglio dei tessuti e alla modellatura delle stoffe a maglia, fatta eccezione solo per alcune operazioni marginali) per cappotti, tailleur, gonne, pantaloni, camicie, t-shirt e pigiami (ottenuti, quando l’indumento è a maglia, riunendo le parti di stoffa oppure finiti o completi se l’indumento non è a maglia);
- la fabbricazione a partire dai filati per cappotti, tailleur, gonne, pantaloni, camicie, t-shirt e pigiami (ottenuti, quando l’indumento è a maglia, in modo diverso dal precedente oppure non finiti o incompleti se l’indumento non è a maglia).
E se un’impresa per un certo prodotto non riuscisse a soddisfare questi criteri?
In generale, se le regole della confezione completa e della fabbricazione a partire da filati non sono soddisfatte perché avvenute in più Stati, senza la prevalenza di alcuno di essi, allora si potrà applicare la regola residuale che, in questi casi, prevede l’origine italiana della maggior parte dei materiali in base al loro valore.
Attenzione però a non cedere alla leggerezza di indicare Made in Italy sui capi che non lo sono. Infatti, chi importa, esporta o vende prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine commette un reato.