Mansioni: come cambia l’art. 2103 c.c. dopo il Jobs Act
Parte seconda: assegnazione a mansioni superiori
Nella pubblicazione del 17.11.2015 abbiamo affrontato il tema dello jus variandi e del demansionamento, dando atto della modificazione dell’art. 2103 c.c. operata nel Testo Unico di Riordino dei Contratti di Lavoro (D.Lgs. n. 81/2015).
Esaminiamo ora l’ipotesi dell’assegnazione a mansioni superiori.
Innanzitutto è bene chiarire che si tratta di assegnazione a mansioni superiori quando il lavoratore è richiesto dal datore di lavoro di svolgere in via esclusiva o prevalente mansioni riconducibili ad un livello di inquadramento superiore a quello cui sono riconducibili le mansioni allo stato assegnate.
La norma riconosce al datore di lavoro il potere di modificare unilateralmente le mansioni che il lavoratore è tenuto a svolgere, assegnandogli in via temporanea mansioni superiori, senza che l’assegnazione divenga definitiva, nelle seguenti ipotesi:
- per sostituire un lavoratore in servizio assente,
- a prescindere dal motivo per il periodo di tempo fissato dal contratto collettivo o, in mancanza, per un periodo non superiore a 6 mesi continuativi.
Dunque, innanzitutto il datore di lavoro può attribuire al lavoratore mansioni superiori, senza che sorga per il lavoratore il diritto all’attribuzione definitiva, qualora abbia l’esigenza di sostituire altro dipendente momentaneamente assente.
La prima importante novità riguarda il fatto che, se in precedenza la sostituzione doveva riguardare un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro (ad esempio perché in malattia o in ferie), il riferimento al diritto alla conservazione del posto di lavoro è stato eliminato.
Il legislatore si è limitato a precisare che la sostituzione deve riguardare un lavoratore in servizio: la lettera della norma induce a ritenere che l’esigenza sostitutiva possa derivare non solo dalle ipotesi di sospensione legale del rapporto di lavoro, ma genericamente da ogni caso di assenza del lavoratore. Sul punto, tuttavia, occorre attendere le prime pronunce giurisprudenziali per verificare se sia confermata l’interpretazione estensiva.
In secondo luogo, l’assegnazione a mansioni superiori può essere disposta unilateralmente dal datore di lavoro per motivi diversi dalla sostituzione di altro dipendente, senza che sorga per il lavoratore il diritto all’assegnazione definitiva, purché il periodo nel corso del quale sono svolte le mansioni superiori non sia superiore a quello previsto nel contratto collettivo applicato, anche aziendale, oppure, in mancanza, non sia superiore a 6 mesi continuativi.
Rimane confermato che nel corso dell’assegnazione temporanea a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento economico e normativo corrispondente al relativo superiore livello.
Dunque, l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva decorso il periodo previsto dal contratto collettivo oppure dopo 6 mesi continuativi, se l’assegnazione non è stata dovuta ad esigenze sostitutive: nel caso, il lavoratore consegue il diritto al livello di inquadramento superiore ed al relativo trattamento economico e normativo.
La seconda novità è data, quindi, dal fatto che il diritto all’inquadramento superiore è acquisito stabilmente dopo 6 mesi, non più dopo 3.
Ancora una volta emerge la centralità del ruolo della contrattazione collettiva, anche aziendale, che ora può derogare in pejus la disposizione normativa, prevedendo un periodo superiore a 6 mesi.
Tuttavia, rimane aperta la questione della sorte delle previsioni della contrattazione collettiva esistenti alla data del 25.06.2015, che ripetono la formulazione abrogata dell’art. 2103 c.c. quanto al periodo di 3 mesi: si deve ritenere che non possano che rimanere in vigore, trattandosi di disposizioni derogatorie in melius per il lavoratore.
Ulteriore elemento di novità è che l’assegnazione alle mansioni superiori deve essere, oltre che effettiva, anche continuativa.
Data la chiarezza della norma, è da escludersi che trovi ancora applicazione l’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il riconoscimento della qualifica superiore poteva avvenire anche nel caso in cui il lavoratore era adibito alle mansioni superiori in modo frazionato.
Ovviamente il riferimento alla continuità delle mansioni superiori per un semestre non impedirà al giudice del lavoro di qualificare in frode alla legge il comportamento del datore di lavoro, che adibisca a mansioni superiori il lavoratore più volte e reiteratamente per periodi inferiori, che, sommati, superano ampiamente il limite dei sei mesi, allo scopo di impedire la maturazione del diritto all’adibizione definitiva.
Novità di assoluto rilievo è data dalla possibilità che il lavoratore manifesti una volontà contraria all’assegnazione definitiva alle mansioni superiori.
L’ipotesi di una opposizione del lavoratore era già stata oggetto di esame da parte dei giudici del lavoro, in particolare in relazione al conferimento della qualifica dirigenziale. Tant’è che la soluzione del legislatore non appare illogica, per quanto riguardante limitatissimi casi.
Resta da definire se la rinuncia alla promozione sia riconducibile all’art. 2113 c.c.: in attesa si pronuncino sul punto i giudici del lavoro, si ritiene necessario che il lavoratore esprima la propria volontà per iscritto.
Da ultimo, è stato abrogato l’art. 6 Legge 13.05.1985, n. 190, che disciplinava l’assegnazione di mansioni superiori al personale appartenente alla categoria dei quadri.
A seguito dell’abrogazione, l’art 2103 c.c. come novellato trova applicazione nei confronti di qualsiasi lavoratore indipendentemente dalla categoria di appartenenza.